venerdì 4 luglio 2008

INCENERITORI E NANOPATOLOGIE

INTERVENTO DI STEFANO MONTANARI DIRETTORE SCIENTIFICO DEL LABORATORIO
NANODIAGNOSTICO DI MODENA


Ormai non esiste più alcun dubbio a livello scientifico:le micro - e nanoparticelle,comunque prodotte una volta che sianoriuscite a penetrarenell’organismo innescano tuttauna serie di reazioni chepossono tramutarsiin malattie.Le nanopatologie, appunto.
Se è vero che le manifestazionipatologiche più comuni sono forme tumorali, è altrettanto veroche malformazioni fetali, malattieinfiammatorie, allergiche e perfino neurologiche sono tutt’altro che rare.A prova di questo, basta osservareciòche accade ai reduci, militario civili che siano, delle guerre del Golfoo dei Balcani o a chi
sia scampato al crollo delle Torri
Gemelle di New York e di quel
crollo ha inalato le polveri.
“Comunque prodotte”, ho scritto
sopra a proposito di queste particelle
che sono inorganiche, non
biodegradabili e non biocompatibili.
E l’ultimo aggettivo è sinonimo
di patogenico.
Il fatto, poi, che siano anche non
biodegradabili, vale a dire che l’-
organismo non possieda meccanismi
per trasformarle in qualcosa
di eliminabile, rende l’innesco
per la malattia “eterno”, dove
l’aggettivo eterno va inteso secondo
la durata della vita umana.
Le particelle di cui si è detto hanno
dimensioni piccolissime, da
qualche centesimo di millimetro
fino a pochi milionesimi
di millimetro,
e più queste sono
piccole, più la
loro capacità di penetrare
intimamente
nei tessuti è spiccata;
tanto spiccata da
riuscire perfino, in
alcune circostanze e
al di sotto di dimensioni
inferiori al micron
(un millesimo
di m millimetro), a
penetrare nel nucleo
delle cellule senza
RIFIUTI - SALUTE
ledere la membrana che le avvolge.
Come questo accada sarà il tema
di un incipiente progetto di ricerca
europeo che vedrà coinvolto
come coordinatore il nostro
gruppo.
Se è vero che la natura è una produttrice
di queste polveri, e i vulcani
ne sono un esempio, è pure
vero che le polveri di origine naturale
costituiscono una frazione
minoritaria del totale che oggi si
trova sia in atmosfera (atmosfera
significa ciò che respiriamo) sia
depositato al suolo, ed è pure
vero che la loro granulometria
media è, tutto sommato,
relativamente grossolana.
È l’uomo il grande produttore di
particolato, soprattutto quello più
fine. Questo perché la tecnologia
moderna è riuscita ad ottenere a
buon mercato temperature molto
elevate a cui eseguire le più svariate
operazioni, e, in linea generale
e a parità di materiale bruciato,
più elevata è la temperatura
alla quale un processo di combustione
avviene, minore è la dimensione
delle particelle che ne
derivano.
A questo proposito, occorre
anche tenere conto del fatto che
ogni processo di combustione,
nessuno escluso, produce particolato,
sia esso primario o secondario.
Per particolato primario s’intende
quello che nasce direttamente nel
crogiolo, per secondario, invece,
quello che origina dalla reazione
tra i gas esalati dalla combustione
(tra gli altri, ossidi di azoto e di
zolfo) e la luce, il vapor d’acqua
e i composti principalmente organici
che si trovano in atmosfera.
Al momento attuale, la legge prescrive
che l’inquinamento particolato
dell’aria sia valutato determinando
la concentrazione di
particelle che abbiano un diametro
aerodinamico medio di 10 micron
- le ormai famose PM10 - e
prescrive che la valutazione
avvenga per massa.
Nulla si dice ancora, invece, a
proposito delle polveri più sottili:
le PM2,5 (cioè particelle con un
diametro aerodinamico medio di
2,5 micron), le PM1 (diametro da
1 micron) e le PM0,1 (diametro
da 0,1 micron).
Sono proprio quelle le polveri
realmente patogene, con una
patogenicità che cresce in modo
quasi esponenziale con il diminuire
del diametro. E per avere
un’idea degli effetti sulla salute
di queste poveri occorre che le
particelle siano non pesate ma
classificate per dimensione e
contate.
Dal punto di vista pratico, la massa
di una particella da 10 micron
corrisponde a quella di 64 particelle
da 2,5 micron, oppure di
1.000 da un micron, oppure,
ancora, a quella di 1.000.000 di
particelle da 0,1 micron.
Perciò, valutare il particolato in
massa e non per numero e dimensione
delle particelle non dà indicazioni
utili dal punto di vista
sanitario e può, anzi, essere fuorviante.
Venendo al problema dell’inquinamento
da rifiuti, è ovvio che
questi debbano, in qualche modo,
essere smaltiti.
A questo punto, è necessario ricordare
la cosiddetta legge di Lavoisier
o della conservazione della
massa. Questa recita che in una
reazione chimica la massa delle
sostanze reagenti è uguale alla
massa dei prodotti di reazione.
Il che significa che, secondo le
leggi che regolano l’universo, noi
riusciamo solo a trasformare le
sostanze, ma non ad annullarne la
massa.
Ciò che avviene quando s’inceneriscono
i rifiuti, dunque, altro non
è se non la loro trasformazione in
qualcosa d’altro, e questa trasformazione
è ottenuta tramite l’applicazione
di energia sotto forma
di calore.
Stante tutto ciò che ho scritto sopra
e che è notissimo sia tra gli
scienziati sia tra gli studenti delle
scuole medie, se noi bruciamo
l’immondizia, altro non facciamo
se non trasformarla in particelle
tanto piccole da farle scomparire
alla vista e, con i cosiddetti
“termovalorizzatori” – una parola
che esiste solo in Italiano e che
evoca l’idea ingenuamente falsa
che si ricavi valore economico
dall’operazione – la trasformazione
produce particelle ancora più
minute e, dunque, più tossiche.
Malauguratamente, non esiste alcun
tipo di filtro industriale capace
di bloccare il particolato da 2,5
micron o inferiore a questo, ma,
dal punto di vista dei calcoli che
si fanno in base alle leggi vigenti,
questo ha ben poca importanza: il
“termovalorizzatore” produce pochissimo
PM10 (peraltro, la legge
sugl’inceneritori prescrive ancora
la ricerca delle cosiddette polveri
totali ed è, perciò, ancora più arretrata)
e la quantità enorme di
altro particolato non rientra nelle
valutazioni. Ragion per cui, a
norma di legge l’aria è pulita.
Ancora malauguratamente, tuttavia,
l’organismo non si cura delle
leggi e le patologie da polveri
sottili (le PM10 sono tecnicamente
polveri grossolane), un tempo
ignorate ma ora sempre più conosciute,
sono in costante aumento.
Tra queste, le malformazioni
fetali e i tumori infantili.
Tornando ala legge di Lavoisier,
uno dei problemi di cui tener conto
nell’incenerimento dei rifiuti è
la quantità di residuo che si ottiene.
Poiché nel processo d’incenerimento
occorre aggiungere all’immondizia
calce viva e una rilevante
quantità d’acqua, da una
tonnellata di rifiuti bruciata escono
una tonnellata di fumi, da 280
a 300 kg di ceneri solide, 30 kg di
ceneri volanti (la cui tossicità è
enorme), 650 kg di acqua sporca
(da depurare) e 25 kg di gesso. Il
che significa il doppio di quanto
si è inteso “smaltire”, con l’aggravante
di avere trasformato il
tutto in un prodotto altamente patogenico.
E in questo breve scritto
si tiene conto solo del particolato
inorganico e non di tutto il
resto, dalle diossine (ridotte in
quantità ma non eliminate dall’alta
temperatura), ai furani,
agl’idrocarburi policiclici, agli
acidi inorganici (cloridrico,
fluoridrico, solforico, ecc.), all’-
ossido di carbonio e quant’altro.
Affermare, poi, che incenerire i
rifiuti significa non ricorrere più
alle discariche è un ulteriore
falso, dato che le ceneri vanno
“smaltite” per legge (decreto
Ronchi) in discariche per rifiuti
tossici speciali di tipo B1.
Si mediti, poi, anche sul fatto che
l’incenerimento comporta il mancato
riciclaggio di materiali come
plastiche, carta e legno.
I “termovalorizzatori” devono
funzionare ad alta temperatura e,
per questo, hanno bisogno di quei
materiali che possiedono un’alta
capacità calorifica, vale a dire
proprio le plastiche, la carta e il
legno che potrebbero e dovrebbero
essere oggetto di tutt’altro che
difficile riciclaggio.
Tralascio qui del tutto il problema
economico perché non rientra
nell’argomento specifico, ma il
bilancio energetico è fallimentare
e, se non ci fossero le tasse dei
cittadini a sostenere questa forma
di trattamento dei rifiuti, a nessuno
verrebbe mai l’idea di costruire
impianti così irrazionali.
Rimandando per un trattamento
esaustivo dell’argomento ai
numerosi testi che lo descrivono
compiutamente, compresi i siti
Internet dell’ARPA e di varie
AUSL, la conclusione che qualunque
scienziato non può che
trarre è che incenerire i rifiuti è
una pratica che non si regge su
alcun razionale. Ma, al di là della
scienza, il sensus communis del
buon padre di famiglia che per i
Romani era legge può costituire
un’ottima guida. Usare i cosiddetti
“termovalorizzatori” spacciandoli
per un miglioramento
tecnico, poi, non fa che peggiorare
la situazione dal punto di vista
del nanopatologo, ricorrendo questi
a temperature più elevate.
Perciò, una pratica simile non
può essere in alcun modo presa in
considerazione come alternativa
per la soluzione del problema legato
allo smaltimento dei rifiuti,
se non altro perché i rifiuti non
vengono affatto smaltiti ma raddoppiati
come massa e resi incomparabilmente
più nocivi.”
Stefano Montanari

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