martedì 15 luglio 2008

IL DIAVOLO BRUCIA. DIO CREA

DI ERNESTO BURGIO SULLA RIVISTA "ECOLOGIST"

Il diavolo brucia. Dio crea, ricicla, trasforma: infinitamente

Dovrebbe essere ormai evidente a tutti che l’attuale fase della storia umana, quella coincidente con l’era dello sviluppo industriale e con l’utilizzo sempre più massiccio e irrazionale dei combustibili fossili (prima carbone, poi petrolio e gas), volge rapidamente e inesorabilmente al termine per due ragioni, strettamente interconnesse:
- l’imminente/immanente esaurimento delle risorse energetiche fossili, che l’uomo ha letteralmente dilapidato nel corso di questi due secoli
- gli effetti potenzialmente irreversibili che i processi di combustione, sempre più diffusi su tutto il pianeta, rischiano di avere sulla composizione dell’atmosfera, sul clima, sui cicli delle acque e del carbonio e sugli equilibri dei singoli ecosistemi e dell’intera biosfera.
Fra tutti gli impianti e sistemi eco-distruttivi inventati dall’uomo, gli “inceneritori di rifiuti” rappresentano il simbolo forse più perfetto (in senso negativo) di una “civiltà” dominata dalla Pulsione di Morte e di una specie vivente che, pur di estendere il proprio dominio, rischia di trasformare l’intero pianeta in una gigantesca camera a gas, in un immane forno crematorio.
E’ infatti difficile negare che gli inceneritori (il termine “termovalorizzatore” essendo frutto di un escamotage ipocrita e illegittimo, volto a convincere i cittadini circa un’inesistente resa energetica di questi impianti) sono essenzialmente grandi acceleratori entropici, che trasformano ogni giorno in cenere e gas:
- milioni di tonnellate di carta, cartone e legname che potrebbero essere utilizzate ancora a lungo e che sono il dono prezioso di boschi e foreste, cioè di quel polmone verde del pianeta, substrato e fucina della vita (biodiversità), che l’uomo sta distruggendo a ritmo frenetico e insostenibile;
- milioni di tonnellate di plastica e derivati, cioè di petrolio (si ricordi che un kg di PET equivale a due litri di petrolio): materiale organico che, formatosi attraverso milioni di anni di lento accumulo all’interno della crosta terrestre, siamo riusciti a consumare in pochi decenni;
- migliaia di tonnellate di metalli preziosi – alluminio, cromo, ferro, piombo, nichel – che potrebbero servire a costruire biciclette, navi, treni, ponti ed utensili vari.

Ma gli inceneritori non sono soltanto all’origine di un immenso, insensato spreco di materiali preziosi: sono anche tra gli impianti industriali più inutili, nocivi e rapidamente distruttivi nei confronti dei delicati meccanismi che regolano il clima e gli ecosistemi. E l’effetto forse più temibile e meno noto di questi eco-mostri concerne proprio il loro possibile impatto distruttivo sugli organismi e sull’intera biosfera: in quello che potremmo definire un immenso esperimento di bio-trasformazione a cielo aperto.
Perché i milioni di metri cubi di gas e ceneri volanti, che escono da quei camini e contaminano il mondo vegetale e i milioni di tonnellate di ceneri di fondo, che si depositano alla base delle caldaie e devono essere “smaltiti” in immense discariche di rifiuti speciali e che inevitabilmente finiscono con il percolare nelle falde idriche, avvelenando la catena alimentare e l’intera biosfera, sono un vero e proprio concentrato di alcune tra le sostanze più tossiche che l’uomo sia mai riuscito a produrre: diossine, furani, policlorobifenili, idrocarburi policiclici e metalli pesanti, che - trasportati dalle particelle microscopiche prodotte dalla combustione – attraversano gli epiteli di rivestimento dei nostri apparati respiratorio e digerente, passano nel sangue e nella linfa, attraversano le barriere alveolare ed emato-cerebrale e penetrano attraverso le sofisticate membrane che proteggono le nostre cellule. In questo modo per anni, per decenni le nanoparticelle veicolano gli atomi di cromo, di piombo e di mercurio all’interno delle cellule che rappresentano la prima linea dei nostri sistemi di difesa - macrofagi, cellule dendritiche - di volta in volta paralizzandole o iper-attivandole (rendendole cioè incapaci di svolgere correttamente il proprio compito o inducendole a infiammare in modo cronico e progressivo i nostri organi e tessuti più preziosi) e all’interno dei nostri neuroni e delle cellule che formano la struttura portante del nostro cervello, che irreversibilmente danneggiate o cronicamente attivate finiscono per produrre ed accumulare al loro interno proteine alterate nella loro sequenza-base o nella loro forma tridimensionale…
Un dato epidemiologico estremamente allarmante di questi ultimi anni, è quello concernente il notevole aumento delle patologie neuro-degenerative croniche che funestano le nostre società. E’ sufficiente ricordare che negli Usa le morti per morbo di Alzheimer sono aumentate negli ultimi 20 anni del 1200%, ed è evidente che soltanto una trasformazione ambientale può aver determinato una simile deriva epidemiologica L’ipotesi patogenetica oggi più accreditata riconosce all’origine di questa e di altre malattie neurodegenerative, proprio un accumulo, nel citoplasma cellulare, di proteine alterate.
E’ noto quanto sia difficile dimostrare con assoluta certezza - sulla base delle modalità di studio e di valutazione usuali (essenzialmente epidemiologiche), che hanno come inevitabile parametro di riferimento popolazioni sottoposte a tassi di inquinamento similari e difficilmente valutabili - il nesso causa-effetto tra un possibile fattore patogenetico (in questo caso l’inalazione delle sostanze prodotte dalla combustione di materiale vario, plastica e metalli in primis) e l’aumento di una patologia cronico-degenerativa legata a meccanismi immuno-patogenetici e/o genotossici relativamente lenti (siamo nell’ordine di anni o decenni).
Ma alcuni ricercatori hanno recentemente sottolineato come esistano dati terribili, provenienti da un campo di “sperimentazione” ancora più drammatico ed eccezionale - quello delle guerre high-tech, ideate ed attuate negli ultimi 15 anni dagli USA e dai loro alleati - che possono aiutarci a chiarire il problema.
In queste guerre infatti intere popolazioni inermi hanno subito le conseguenze dei bombardamenti condotti con armi nuove e sofisticate, che solo tra alcuni decenni riveleranno tutti i loro effetti devastanti. Va da sé che pochi si sarebbero curati di questo lontano dramma, se migliaia di soldati occidentali non avessero manifestato, al ritorno dalle guerre nel Golfo e nei Balcani, sintomi e quadri patologici gravissimi, riconducibili all’esposizione alle sostanze chimiche e radioattive utilizzate e liberate nel corso dei bombardamenti.
L’interesse per questi lontani eventi, da parte di alcuni ricercatori che indagano sull’impatto ambientale e sanitario degli inceneritori, è dovuto al fatto che le molecole tossiche che si sono accumulate nei polmoni e nei cervelli, nel sangue e nello sperma dei soldati; che li hanno fatti ammalare di linfomi, leucemie, mielomi, epatocarcinomi e sarcomi; che hanno perfino causato l’insorgenza di carcinomi uterini nelle loro mogli e compagne e di malformazioni nei bambini da loro procreati negli anni successivi, sono praticamente le stesse prodotte dagli inceneritori. Il che non deve stupire, perché in entrambi i casi è proprio l’alta temperatura raggiunta nei processi di combustione a determinare: da un lato la liberazione di miliardi di atomi di cromo, nichel, mercurio, cadmio e di molecole di diossine, furani, idrocarburi policiclici; dall’altro la frammentazione della materia in nanoparticelle rotondeggianti, che inalate fungono da perfette navette per le sostanze killer. E in entrambi i casi le particelle col loro carico mortale penetrano nelle cellule del sangue, infiammano organi e tessuti, sregolano gli stessi apparati di controllo sistemico e in primis il sistema neuro-endocrino: anche perché alcune di queste sostanze, come le diossine (di cui gli inceneritori sono oggi la fonte principale), agiscono da endocrine disruptors, con meccanismi veramente diabolici, che permettono loro di ingannare i recettori delle cellule bersaglio o di mimare (agendo direttamente o indirettamente sul DNA o sui meccanismi di trascrizione ed espressione genica) l’azione delle molecole che innescano o modulano la produzione di ormoni, citochine, chemochine.

Ma queste non sono le uniche controindicazioni alla costruzione ed all’uso degli inceneritori che sarebbe importante conoscere e divulgare. Alle motivazioni di ordine ambientale e sanitario, si possono infatti affiancare numerose motivazioni di ordine economico e sociale.
A cominciare dal semplice calcolo dei costi di produzione: visto che, cifre ufficiali alla mano, il costo di un MWh di energia in un impianto idroelettrico è valutabile intorno ai 65 euro; in un impianto eolico intorno ai 60; in un impianto a biomasse intorno a 120, mentre produrre un MWh in impianti di incenerimento di rifiuti solidi urbani con “recupero energetico” costa la bella cifra di 228 euro (senza mettere nel conto il costo di smaltimento delle ceneri e i danni incalcolabili alla salute umana)! Questo significa che ben lungi dal consentire un recupero energetico, gli inceneritori sono una fonte di immenso spreco energetico ed economico (concetto che può anche essere sintetizzato dicendo che l'energia necessaria a produrre i materiali che vengono inceneriti è circa 4 volte maggiore di quella che si può ottenere bruciandoli).
D’altro canto dovrebbe essere ormai noto a tutti che esistono strategie semplici e collaudate che permettono di organizzare una corretta filiera di trattamento dei materiali post consumo (in effetti il termine “rifiuti” dovrebbe essere utilizzato solo per gli scarti e via, via abolito), fondata sulla riduzione e razionalizzazione della produzione, sul recupero, riciclaggio e riuso di vetro, carta, legname e metalli; sul corretto trattamento dell’organico; sul processamento a freddo dell’eventuale residuo.. e che non mancano le norme comunitarie
e nazionali, che almeno sulla carta, incentivano questo vero e proprio circuito virtuoso.

Dovrebbe insomma essere ormai chiaro a tutti coloro - imprenditori, economisti, politici, chimici, ingegneri, medici – che si interessano a vario titolo al problema del trattamento dei rifiuti, che non ha alcun senso bruciare tonnellate di materiali preziosi e in larga misura riutilizzabili; che una simile prassi ha costi enormi oltre a essere dannosa per l’ambiente in cui viviamo e per la nostra salute.
Eppure è un dato di fatto che in Italia, da alcuni anni, assistiamo ad una vera e propria corsa alla costruzione di nuovi impianti. Un mistero che, in effetti, non è poi così difficile svelare.
Basta infatti ricordare che in Italia è attualmente in vigore una Legge, unica in Europa e in palese contrasto con le direttive europee, che consente allo Stato di sovvenzionare fortemente la produzione di energia attraverso l’incenerimento dei rifiuti, che essendo (come visto) alquanto costosa, se non fosse incentivata con danaro pubblico, non avrebbe mercato. E’ appunto grazie a questa Legge che i gestori di inceneritori e i gruppi industriali come Moratti, Garrone, Falck che li costruiscono, possono fare grandi profitti, scaricando gli enormi costi di impianti assolutamente antieconomici, sulla collettività.
Il trucco è semplice e scellerato: in pratica gli ingenti fondi che dovrebbero esser destinati per Legge alle energie rinnovabili (pagati direttamente dai contribuenti nella bolletta Enel) vengono letteralmente stornati nelle tasche dei gestori, che ricevono circa 40 euro per ogni tonnellata di rifiuti inceneriti, più altri sussidi: cifre che moltiplicate per milioni di tonnellate (nella sola Sicilia è prevista la costruzione di 4 eco-mostri, che dovrebbero incenerire circa 2,5 milioni di tonnellate di rifiuti/anno!) raggiungerebbero dimensioni piuttosto ragguardevoli. Difficile negare che si tratta di una legge immorale (ci troviamo di fronte a un vero e proprio furto legalizzato ai danni dei cittadini e a favore di chi li sfrutta ed inquina), oltre che antiecologica (un vero e proprio incentivo allo spreco energetico). Come difficile sarebbe negare che le complicità in questo settore sono veramente molte e varie: si pensi al ruolo dei media, in gran parte schierati da anni dalla parte delle lobbies inceneritoriste, e impegnati a convincere gli italiani che gli inceneritori (pardon i termovalorizzatori) sono macchine magiche, capaci di far sparire per incanto i rifiuti, risolvendo l’emergenza e il problema delle discariche; di produrre “energie rinnovabili”; di creare nuovi posti di lavoro; di “ripulire” l’aria che respiriamo e di “ridurre” le emissioni climatizzanti, secondo i sacri dettami del Protocollo di Kyoto !
Tutte affermazioni rigorosamente false e tendenziose, che pochi cercano di smentire.
Eppure non è difficile capire che bruciare i rifiuti significa semplicemente trasformare materiali preziosi in gas e sostanze infinitamente più tossiche e pervasive; che gli inceneritori non risolvono il problema delle discariche, anzi le trasformano in depositi di rifiuti speciali e infinitamente più pericolosi; che gli inceneritori non possono che disincentivare la raccolta differenziata e il recupero della carta, del legname e della plastica.. per il semplice fatto che senza queste sostanze, l’inceneritore non potrebbe neppure funzionare; che per ogni tonnellata di “rifiuti” inceneriti (anziché riciclati, compostati o riutilizzati) si emettono in atmosfera 450 chili di gas serra; che una corretta filiera di riciclaggio, recupero, riuso e compostaggio permetterebbe la creazione di decine di cooperative di giovani impegnati in un servizio al tempo stesso utile sul piano ecologico e sanitario, redditizio sul piano economico e persino educativo per se stessi e per l’intera comunità…

Stando così le cose appaiono più chiari i motivi che ci hanno spinto a proporre gli inceneritori a simbolo negativo di una “civiltà” fondata sulla distruzione sistematica della Natura. Cioè su processi lineari, irreversibili, tanto per ciò che concerne le trasformazioni della materia, quanto nel campo degli esseri viventi: visto che le modifiche deliberate o involontarie del DNA rappresentano (anche sul piano simbolico/metafisico) un’interferenza indebita e potenzialmente definitiva sul programma-base che definisce le linee guida per lo sviluppo nello spazio-tempo di tutte le forme di vita (dalle singole cellule alle specie).
In questo senso gli inceneritori rappresentano davvero il tetro simbolo di un sistema: perché ciò che accomuna la gran parte delle nostre attuali modalità di sfruttamento delle risorse energetiche è appunto che si tratta di cicli aperti, cioè di non-cicli, che consumano energia e materia relativamente organizzata e liberano – al termine del processo – calore e sostanze tossiche che si disperdono nell’atmosfera, inquinandola in modo potenzialmente irreversibile. Tale discorso vale per tutti gli impianti e le macchine che consumano energia chimica (petrolio, carbone, gas) o nucleare e che presentano, sia pur con diversa gradazione (minima per il gas naturale, massima per il nucleare) gli stessi problemi: quello termico; quello, strettamente connesso, dell’enorme consumo idrico; quello della produzione di scorie pericolose; quello dell’imminente esaurimento degli stessi combustibili.
E in questo contesto dovrebbe apparire più comprensibile anche il titolo “teologico” che abbiamo scelto di dare al nostro pezzo e che riecheggia una celebre frase di Paul Connett, un noto professore di biochimica americano, che da anni gira il mondo nelle vesti di profeta di una società zero-waste.
Affermare che il diavolo e l’uomo da lui asservito o irretito bruciano, allontanandosi dal modello naturale e/o divino significa infatti asserire in modo semplice e chiaro
- che ogni forma di combustione, attuata su scala planetaria, si rivela rapidamente insostenibile e biocida e che, in particolare, la pratica di trasformare enormi quantità di materiali preziosi (metalli, carta, legname, vetro) in rifiuti, per poi dis-integrarli per combustione è prassi antieconomica e insostenibile sul piano del consumo di risorse; del dissesto climatico; dell’inquinamento e dell’impatto ambientale e sanitario (produzione e inevitabile dispersione nell’ambiente, bioaccumulo e biomagnificazione attraverso la catena alimentare di diossine, furani, policlorobifenili, metalli pesanti..)
- che diviene di giorno in giorno più urgente e necessaria una ri-conversione del sistema produttivo e commerciale globale, che non può che derivare da una ancora più radicale conversione culturale/spirituale:
perché in assenza di una profonda ed autocritica presa di coscienza collettiva, è veramente difficile immaginare che l’umanità decida di tornare nel giro di alcuni anni/decenni ad un modello/sistema fondato su un utilizzo responsabile e parsimonioso (il risparmio energetico rappresenta la vera chiave di volta di questa che potremmo veramente definire Rivoluzione Verde) dell’energia che ricaviamo dalla materia (che deve essere rinnovabile ed a ciclo eminentemente chiuso) e da quella fonte praticamente inesauribile e “pulita” che è il sole.

Ernesto Burgio, sulla rivista Ecologist

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